lunedì 9 marzo 2009

Le posate d'argento


La ricordo come fosse ieri. Una giornata di finta primavera, di quelle con sole e vento che ti costringono a tener su il maglione di lana. Ero iscritta al secondo anno di Scienze della Comunicazione e seguivo il corso di comunicazione pubblica nell'aula magna di Economia. A lezione eravamo sempre in tanti, una specie di "comune" piuttosto insolita per il piccolo e organizzato ateneo perugino.

Il prof Mancini entrando in aula chiese cosa ne pensassimo del fatto del giorno: se non ricodo male Berlusconi aveva appena emesso il suo editto Bulgaro. Il ronzio delle mosche in aula smascherò la triste verità: nessuno aveva letto il giornale (che per dei futuri "scienzati della comunicazione" suona come una bestemmia in Duomo). Da allora il prof decise di interrogare sul quotidiano.
Una mattina, per non fare una figura meschina, comprai la mia bella copia del Corriere della Sera, decisa a leggerla TUTTA tutta, senza saltare gli articoli noiosi (com'era invece mia abitudine). Un paio di ore dopo arrivai alla mitica posta di Indro Montanelli. Lì un lettore racconatava il suo dubbio amletico: "Cosa ne sarà dei giornali ora che c'è internet?". Erano gli anni in cui i blog e facebook erano fantascienza, i giornali iniziavano a sperimentare la rete. Montanelli rispose più o meno così: "I giornali saranno come le posate d'argento". Quella frase non l'ho più dimenticata. Me ne innamorai per l'eleganza e la semplicità, ma più di ogni altra cosa mi era tuonata nel cervello come una premonizione nefasta. Come una di quelle nuvole che si intravedono all'orizzonte in una mattinata d'estate: si fa finta di non averla vista, ma si tiene sott'occhio perché, in fondo l'hai riconosciuta: è la sentinella, il primo vaggito di un acquazzone. 
Io coltivavo nel mio piccolo orto di gioventù il sogno di diventare una giornalista; era una passione romantica lontana dal "famo contento l'editore". 
Oggi leggo su Intenazionale un articolo "L'ultima copia" che: (...) se nei prossimi 3 mesi non verranno adottati provvedimenti drastici, il New York Times potrebbe non essere più pubblicato. Come lui tanti altri giornali.

NOOOOoo! E le redazioni, i caffé e le sigarette? Le dita che battono sulla tastiera e le stupidagini tra colleghi? Le parole che vanno e vengono, quelle che avresti voluto scrivere tu e quelle che vorresti rimangiarti? La forma, il contenuto? La notizia, raccolta e riorganizzata mentre immagini gli occhi del lettore rubarti le intenzioni? La notizia, rosolata, insaporita e servita al grafico, mentre cresce la paura di aver scritto qualche cazzata.

Oggi non faccio la giornalista come c'è scritto nel mio tesserino, ma porto come il ricordo in una redazione tutta speciale: un quotidiano italiano all'estero, che scriveva per gli italiani all'estero. 
Arrampicata su una salita di Guaicapuro Northe, ai piedi di quello che in molti consideravano IL PEGGIOR BARRIO DI CARACAS (ma questa è un'altra storia).

Erano strani giorni quelli: il tempo trascorreva lento, sospesa nel vuoto come Giovanni Drogo nel suo deserto dei tartari. Chiusa in quella specie di garage che puzzava di inchiostro e carta, tra il ruomore delle rotative e le copie ammucchiate, scrivevo le storie di un Italia che apparteneva ad un altro mondo: il Venezuela.

Ora mi tornano le parole di Montanelli, e sospiro. Pensavo sarebbe arrivato il nostro momento per metterlo su carta tutto l'inchiostro che avevo nel cuore, invece pare resterà un sogno romantico e demodé.  I giornali, nel bene e nel male, resteranno le mie preziose posate d'argento, e quegli articoli da me firmati- con gli errori, la punteggiatura distratta e qualche parola di troppo - un cimelio da mostrare ai nipotini.
Che poi, in fondo, anch'io vorrei diventare un pò come le posate d'argento: dopo aver giocato le mie carte, farmi da parte e saltar fuori nelle occasioni speciali. 
Dicono che il FUTURO sia dei GIOVANI, speriamo solo di non invecchiare troppo presto!

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