martedì 17 marzo 2009

Eppur mi manca!


Io quello lì faccio fatica a digerirlo. Lo trovo antipatico, finto e pure un pò cafone. Quando lo vedo al tg cambio canale, quando lo sento parlare mi vergogno. E' proprio lo stereotipo della pizza e mandolino, un concentrato di senso comune all'italiana che mi fa rimpiangere il buon AMETRANO (che pure era dovuto partire per la Germania). Ma forse è propio per questo che piace tanto agli altri, perché fa sentire l'ultimo degli scemi un gran figo; perché se ce l'ha fatta lui, perché non io?


Eh si, un messia per QUELLI CHE... ViVERE NEGLI ANNI '80 ERA MEGLIO.


Quando sfoglio i suoi giornali mi viene la pelle d'oca. Intere foreste distrutte per mandare in edicola le storie ridicole ed inventate dei personaggi della De Filippi.


Come lui mi stanno sulle balle quelli che credono alle sue frottole, gente che non ama mettere in discussione nulla. BUONA LA PRIMA! Oddio, non è che non li sopporti, ma cerco di starne alla larga per non offenderli: posso tollerare tutto, ma non l'incapacità di far leva sul buon senso.


A volte mi sento come una scimmietta nel paese delle banane, solo che io mangio kiwi. A volte vorrei cancellare quelle espressioni saccenti dalle facce dei promotori finanziari della sua banca.


Eppure............


Quando sono lontana da casa, in un altro paese e accendo la tv.... BERLUSCONI MI MANCA!


Non capisco se sia colpa delle trasmissioni ridicole e pataccose della Rai o è il bisogno del seno materno. Intendiamoci, se mi avesse davvero allattato lui oggi non sarei qui a farmi tante domande, piuttosto avrei tra le mani una noce di cocco e starei facendo la "lonza" di mare sulle spiagge de LoS RoqueS, dilapidando tuttttttto il patrimonio di mammà. Eppure quello lì mi ha tirato su: con i cartoon tristi e deprimenti, dove alla fine tutti RESTANO POVERI MA FELICI, con i serial americani a colori (che le famiglie avevano i genitori divorziati e risposati e ri-divorziati), con gli spot pubblicitari alla CIRI PIRI PI, la macchina che torna a casa della Barilla (nananà nanà nanà, nananà nanà nanà, na nanà nanananà na nanà na na na).




lunedì 9 marzo 2009

Le posate d'argento


La ricordo come fosse ieri. Una giornata di finta primavera, di quelle con sole e vento che ti costringono a tener su il maglione di lana. Ero iscritta al secondo anno di Scienze della Comunicazione e seguivo il corso di comunicazione pubblica nell'aula magna di Economia. A lezione eravamo sempre in tanti, una specie di "comune" piuttosto insolita per il piccolo e organizzato ateneo perugino.

Il prof Mancini entrando in aula chiese cosa ne pensassimo del fatto del giorno: se non ricodo male Berlusconi aveva appena emesso il suo editto Bulgaro. Il ronzio delle mosche in aula smascherò la triste verità: nessuno aveva letto il giornale (che per dei futuri "scienzati della comunicazione" suona come una bestemmia in Duomo). Da allora il prof decise di interrogare sul quotidiano.
Una mattina, per non fare una figura meschina, comprai la mia bella copia del Corriere della Sera, decisa a leggerla TUTTA tutta, senza saltare gli articoli noiosi (com'era invece mia abitudine). Un paio di ore dopo arrivai alla mitica posta di Indro Montanelli. Lì un lettore racconatava il suo dubbio amletico: "Cosa ne sarà dei giornali ora che c'è internet?". Erano gli anni in cui i blog e facebook erano fantascienza, i giornali iniziavano a sperimentare la rete. Montanelli rispose più o meno così: "I giornali saranno come le posate d'argento". Quella frase non l'ho più dimenticata. Me ne innamorai per l'eleganza e la semplicità, ma più di ogni altra cosa mi era tuonata nel cervello come una premonizione nefasta. Come una di quelle nuvole che si intravedono all'orizzonte in una mattinata d'estate: si fa finta di non averla vista, ma si tiene sott'occhio perché, in fondo l'hai riconosciuta: è la sentinella, il primo vaggito di un acquazzone. 
Io coltivavo nel mio piccolo orto di gioventù il sogno di diventare una giornalista; era una passione romantica lontana dal "famo contento l'editore". 
Oggi leggo su Intenazionale un articolo "L'ultima copia" che: (...) se nei prossimi 3 mesi non verranno adottati provvedimenti drastici, il New York Times potrebbe non essere più pubblicato. Come lui tanti altri giornali.

NOOOOoo! E le redazioni, i caffé e le sigarette? Le dita che battono sulla tastiera e le stupidagini tra colleghi? Le parole che vanno e vengono, quelle che avresti voluto scrivere tu e quelle che vorresti rimangiarti? La forma, il contenuto? La notizia, raccolta e riorganizzata mentre immagini gli occhi del lettore rubarti le intenzioni? La notizia, rosolata, insaporita e servita al grafico, mentre cresce la paura di aver scritto qualche cazzata.

Oggi non faccio la giornalista come c'è scritto nel mio tesserino, ma porto come il ricordo in una redazione tutta speciale: un quotidiano italiano all'estero, che scriveva per gli italiani all'estero. 
Arrampicata su una salita di Guaicapuro Northe, ai piedi di quello che in molti consideravano IL PEGGIOR BARRIO DI CARACAS (ma questa è un'altra storia).

Erano strani giorni quelli: il tempo trascorreva lento, sospesa nel vuoto come Giovanni Drogo nel suo deserto dei tartari. Chiusa in quella specie di garage che puzzava di inchiostro e carta, tra il ruomore delle rotative e le copie ammucchiate, scrivevo le storie di un Italia che apparteneva ad un altro mondo: il Venezuela.

Ora mi tornano le parole di Montanelli, e sospiro. Pensavo sarebbe arrivato il nostro momento per metterlo su carta tutto l'inchiostro che avevo nel cuore, invece pare resterà un sogno romantico e demodé.  I giornali, nel bene e nel male, resteranno le mie preziose posate d'argento, e quegli articoli da me firmati- con gli errori, la punteggiatura distratta e qualche parola di troppo - un cimelio da mostrare ai nipotini.
Che poi, in fondo, anch'io vorrei diventare un pò come le posate d'argento: dopo aver giocato le mie carte, farmi da parte e saltar fuori nelle occasioni speciali. 
Dicono che il FUTURO sia dei GIOVANI, speriamo solo di non invecchiare troppo presto!

venerdì 6 marzo 2009

Quasi Quasi .... MI ISCRIVO AI TERRORISTI




Cosa si prova a vivere in un mondo che non ti vuole? Rabbia e... rabbia. Poi tutto si trasforma in un ghigno che tu chiami ottimismo. Ma a chi vuoi darla a bere, sei incazzato e non puoi prendertela con nessuno o rischi di fare la figura dello sfigato.
Eh si, perché in questo mondo marcio sembra che a tutti vada da dio. Ma è davvero così? Io mi rivolgo ai 30enni. Dove siete? Cosa fate? Avete trovato una ragion d'essere o vi siete dati al pilates?
A 30 anni Che Guevara diventava l'eroe della rivoluzione cubana e Gesù veniva battezzato. Entrambi sarebbero morti giovani ma vivendo una vita emozionante e pagine di storia. Io di anni ne ho 31 e da quando sono nata sono fuori dai giochi. Non so né come né quando è successo. Credevo di aver fatto tutto quanto era necessario per occupare quel posticino nelle liste dell'Inps, invece... Famiglia umile ed onesta. Padre: artigiano e faticatore. madre: che donna! carattere forte e forza di volontà, casalinga, coltivatrice, badante... Sorelle: belle ed oneste, impegnate e fedelissime, sposate con prole a seguito. IO: bambina energica, sportiva, comunicatrice. A scuola mai un problema. Università fuori sede, in una città fighissima, corso di Laurea innovativo, tesi brillante, futuro smagliante. Master allo IED, tirocinio MAE/CRUI all'estero. Intanto lavoro come cameriera, pr, assistente, giornalista, commerciale, sempre per mantenermi, sempre per non pesare alla famiglia. Finalmente l'iscrizione all'Albo dei Giornalisti professionisti.. ed ora?

Trentenni, la politica non ci vuole, l'economia nemmeno. Siamo vecchi per gli stage, giovani per il titolo di "senior". Le aziende non ci assumono, nei giornali siamo collaboratori esterni (precari). Non un politico che ci prenda per il culo dicendo "Bisogna fare qualcosa per sti caxxo di figli che abbiamo abbindolato con la storia dello STUDIA PER UN FUTURO MIGLIORE!". E che palle!

Non andiamo a votare, non paghiamo le tasse. Ci sposiamo per pagare il mutuo e poi torniamo a casa dai genitori. I più fortunati se ne sono andati all'estero (pare che li chiamino CERVELLI IN FUGA, mah!) e hanno trovato chi li prendeva sul serio. Altri si sono messi a leccare in culo senza ritegno. Ci sono i figli di papà che ti spiegano cosa devi mangiare, come devi vestirti, cosa vedere in tv, come somigliare a loro.

Quando incontri i 70enni ti dicono che vorrebbero avere la tua età; i 60 ti riempiono di c onsigli (o ti mettono le mani sulle tette!), i 50enni sono presi dalla carriera e dai figli e li trovi nei parchi a leggere il quotidiano mentre sti mostri danno fuoco al barbone, i 40enni sono una razza che non ha nulla da dire (sono quelli che negli anni 80 erano adolescenti...ora occupano posti di prestigio, non sanno usare il pc, usano internet per chattare su facebook e seminano la società di figli che non vogliono e matrimoni falliti).

Trentenni dove siete? Uscite dagli uffici, smettetela di fare gli stagisti e i precari. Occupiamo gli spazi che ci spettano, ci rendiamo conto che non esistiamo? Ci chiedono esperienza, se, vabbe, ma dove dovremmo farla? E se hai un cervello attivo, lo sedano.

Basta. Quasi Qausi "Io Mi Iscrivo Ai Terroristi"!

giovedì 5 febbraio 2009

CAMPOBASSO: non pervenuto




Chi negli anni 80 aveva i dentini che gli cadevano, non può non ricordare il caro buon Bernacca.
Altro che Giuliacci. Quello delle previsioni Rai era un SIGNOR COLONELLO, anzi GENERALE (perché negli anni 80 era stato promosso). Uno che il suo lavoro lo prendeva sul serio, che non si sarebbe mai sognato di scimmiottare come una velina. Elegante nel vestire e nel fare, Bernacca era una vera istituzione, addirittura uno di famiglia. Grazie a lui le previsioni metereologiche erano diventate un apputamento atteso e la sua presenza immancabile, al punto che se per caso una sera al suo posto appariva un altro, l'Italia intera si preoccupava per la salute del Bernacca.
Il Colonelleo e il suo "Che tempo farà" erano annunciati da una musichetta psichedelica dai toni quasi allarmanti. E venivano prima dell'Almanacco (che veniva prima del Tg), subito dopo l'Intervallo con le pecorelle e alla stessissima ora in cui Finivest trasmetteva "I Puffi".
A casa della sottoscritta ogni sera si consumava un piccolo psicodramma: il mio. Ora di cena. Famiglia riunita a tavola in attesa che mamma scolasse la pasta. La televisione una e trina. Io scalpito sperando di vedere i piccoli omini blu alle prese con il cattivo Gargamella, sembrano tutti disenteressati al video, ma non appena ha inizio la canzoncina "Noi puffi siam così...." mia nonna si risveglia dalla pennichella e dice allarmata: "Vdet i tiemp k fa addmàn!". In un secondo i miei amichetti puffosi spariscono e al loro posto ecco il "Buona sera" del il Colonello.
Abbondanti piogge al nord, rovesci al centrosud, correnti ascensionali, bassa o alta pressione, banchi di nebbia, nuova perturbazione in arrivo, forti schiarite, etcc. Bernacca parlava serio serio usando un linguaggio che nessuno capiva, così cercavamo di intuire dal suo tono di voce e dalle espressioni del viso. La sua bacchettina scivolava su e giù per lo stivale disegnando cerchietti per descrivere l'Anticiclone delle Azzorre e i mari mossi. Poi, nuova schermata, tutte quelle belle parole si traducevano in informazioni comprensibili: la nuvola, il sole, la pioggia, la neve. Ecco cosa voleva dire! Subito dopo il Colonello diceva Passiamo ora alle temperature massime e minime... E sempre, dico sempre CAMPOBASSO risultava NON PERVENUTO.
Ora, non è che voglia metter su una polemica, ma da molisana mi domando se questo NON PERVENUTO continuo non sia stato il motivo scatenante del fenomeno di criptomnesia collettiva riguardo all'esistenza della mia regione. Paranoia? No. Non mi sono mai posta il problema di sapere se gli altri conoscessero o meno il Molise, fino a quando ho scoperto che non hanno la più pallida idea di dove fosse. Eppure l'Uganda sappiamo dov'è! La geografia l'abbiamo studiata, nevvero?
Poche storie. Quello che dico è la verità.
Se conosci la mia regione è solo perché:
1. ci sei nato;
2. ci vivi;
3. ti ci sei sposato;
4. sei figlio di emigrati molisani all'esteo;
5. al militare il tuo commilitone era di Guglionesi o Pescolanciano;
6. sei napoletano, casertano ed hai comprato/affittato per pochi euro un rudere da riammodernare sito tra i bochi delle Mainarde;
7. hai intravisto il cartello "MOLISE" quel giorno che ti recavi a Roccaraso per la settimana bianca, te la stavi facendo addosso e ti sei fermato ad un bar per fare pipì;
8. il tuo TomTom è impazzito mentre scendevi in Puglia per le ferie di agosto e ti sei ritrovato ad Agone a mangiare la pezzata di pecora;
9. ti hanno bocciato ai quiz per la patente perché IS non sta per ISCHIA, tanto meno per SIENA al contrario;
10. sotto la doccia canticchi "Una rotonda sul mare" e hai le cassette di Fred Bongusto in macchina (eheh non bleffare, tu appartieni al punto 4) ;
11. il parrucchiere ti ha convinto che il rosso Biscardi è di moda;
12. sei convinto che la zampogna sia un grande strumento e da grande vuoi fare lo ZAMPOGNARO;
13. nel 1991 hai appeso in salotto l'avviso di garanzia con su scritto Con affetto, tuo Tonino (Ma che c'azzecca?!)

Ah, il MOLISE, il Molise, il Molise. Domani si fa un pò di geografia e studiamo la REGIONE MAI PERVENUTA.

mercoledì 21 gennaio 2009

Questioni di ... Buffet!

Nella mia atipica e spesso confusa ensistenza di donna moderna ho avuto modo di guardarmi spesso intorno. Inizialmente credevo fosse la curiosità, e forse lo era per davvero ma fino ai 19 anni, poi ho capito che il mio motore (e quello dell'80% dell'umanità) era il bisogno di trovare risposteche mi rendessero la vita più sopportabile.
Essendo originaria di un piccolo comune d'Italia, una delle domande cruciali è stata: "Fighi si nasce o si diventa?" (versione rivisitata in chiave urban-modern-street-bullista-murales-tronistica-griffata-house, in poche parole idiota del classico DE CURTISsiano "Signori si nasce..."). Dove trovare risposta? Mi sono messa a frequentare eventi, teatri, locali, ecc dove si concentra la società da copertina. Nonostante la preparazione per le occasioni fosse più che accurata (trucco, parrucco e abbigliamento alla moda), ogni volta che mi torvavo tra ragazze griffatissime e signore impellicciate, sentivo di avere qualcosa fuori posto. In certi ambienti tutti conoscono tutti e se non sei introdotto vieni osservato con titubanza anche dal cameriere. Tale atteggiamento scatena una reazione incontrollabile che oscilla da un eccesso all'altro: o la tua autostima diventa come quella di un cocainomane e inizi a comportarti come il nuovo Obama de NO ARTRI; o al contrario vieni preso dalla sindrome di Calimero con un attacco di permalosità acuta. Comunque vada è imbarazzante. Il desiderio di fuga si fa irrefrenabile, poi però ho capito che bisogna resistere non abbandonare il campo prima del BUFFET, perché è allora che le maschere cadono. Già, il buffet. Che sia servito e riverito o self-service il cibo fa gola a tutti e riconducendo, fighi e s-figati, alla propria natura animale (o se preferite "umana").
Il cibo GRATIS è un richiamo agli istinti più bassi, e non parlo solo di intestino. E' una questione di appropriazione, di senso del possesso, è il desiderio che annebbia il cervello e provoca forte salivazione (modello cane di Pavlov).
"Cos'è qualla roba lì?" - la sciura con il capello cotonato alla Moratti non ha nemmeno finito di parlare che di "quella roba lì" ne ha afferrati dieci con una manata. Poi chiama la figlia e i nipoti per passargli il posto. Impassibile il volto, l'atteggiamento è quello di chi "quella roba lì" ...gli spetta!

PAESE che vai, BUFFET che trovi

MILANO. E' la città dell'aperitivo, dei coctails. Qui spiluccare è uno sport. Agli eventi si incontrano due varianti di buffet. Il classico "all'italiana": prosciutto, pizzette, olive ascolane, mozzarelline, olive, rustici col wustell, tutto fritto fritto fritto; oppure quello "lounge, radical-chic: raffinate creazioni culinarie che mettono in risalto l'estro dello chef che in realtà è un architetto frustrato: mouse di zucca su un letto di cioriette valellinesi, crepe di fonduta con asparago del deserto e speck biologico a dadini, tartine con colata di ingredienti dai colori indefiniti, risottino al basilico in bicchierini di vetro da mangiare con cucchiai minuscoli di legno di bambù (che uno non li ruba solo perché non sa cosa farsene), ecc. Il tutto bagnato da fiumi di prosecco, vino, succo di frutta. A proposito del succo di frutta, è incredibile, ma pur di razzolare il possibile gli italiani davanti al buffet bevono il succo d'arancia con la pizza!
Rispetto ai venezuelani sifrini quello dei milanesi è un comportamento da gran fighi...Per intenderci:
- ho visto il cameriere con il vassoio, ma è ancora lontano;
- fingo di essere interessato a sta cozza che mi sta facendo na capa tanto, ma non perdo di vista la traiettoria del cameriere;
- se devia, mi muovo anche io. Quello deve passarmi davanti!;
- finalmente, è di fronte a me;
- mi sorride porgendomi il vassoio
- voglio 20 di quei cosi che non so cosa siano! Ma devo predere il controllo, mica so un terrone affamato, io!
- ne prendo uno quasi con l'aria di chi vorrebbe farne a meno, ma visto che c'è...;
- lo ingurgito avidamente;
- mi faccio rimbalzare in viso un'espressione soddifatta per la "raffinatezza" del bocconcino;
- appena il cameriere si volta per andar via, afferro altri 3 "cosi" e aspetto il prossimo vassoio, quando inviterò il mio interlocutore ad imitarmi con un ridicolo: provane uno, sono ssssssquisiti!

CARACAS. Noooo! I venezuelani al buffet sono protagonisti, loro il TEQUENO (leggi la N come GN) lo annusano quand'è ancora in cucina. Sanno che arriverà, è un rito irrinunciabile, e la riuscita o meno dell'evento dipende proprio da loro. Quando il tequeno fa il suo ingresso in sala, tra tette siliconate e imprenditori, è come l'entrata del gallo nel pollaio: UN'OVAZIONE! Dicesi tequeno un involtino fritto (o al forno) di pasta frolla ripieno di formaggio da immergere in una salsina agro-dolce che ricorda molto il ketchup. Per nulla sofisticato, anzi direi esteticamente mediocre e goffo. Davanti ad un vassoio di "dita farcite" i venezuelani mandano al diavolo le diete e buttano giù sti cosi uno alla volta aiutandosi con secchiate di wisky o rum.



NELL'ENTROTERRA ITALIANO. Ma allora io FIGA lo sono dalla nascita! Ora vi spiego perché. Nel mio paesino di 1000 anime il buffet ha preso piede negli anni 80, ovvero quando il magna magna politico aveva ingrassato le panze del ceto medio e tutti erano diventati più generosi. Durante le feste di partito i banchetti, straripanti di manicaretti casarecci e boccioni di vino-aceto, venivano presi d'assalto dall'entusiasmo di grandi e piccini. Oggi con la crisi le cose sono un pò diverse, i buffet sono scarsi e l'avidità è ai massimi storici, tanto che in fila per il pezzettino di rustico si sente urlare: "Piano, piano! Che maniere! E che è! Sembrano gli affamati! Uno alla volta! Che incivili!".
Come non spendere un pensiero ai buffet matrimoniali, quelli allestiti a casa dei genitori degli sposi. Quelli che si apparecchiano dalle 8 del mattino e che per portata principale hanno il panino al prosciutto o con la porchetta!
Anche nel mio paesino quando il rito del buffet ha inizio, non si guarda in faccia a nessuno, né al sindaco, neppure al prete; ognuno va per sé. Ognuno ha la sua strategia per accaparrarsi i viveri. Mia madre usa quella classica. Ad esempio, sa da giorni prima chi delle sue amiche cucinerà e, dunque, su quale vassoio riparare. Dopo giunta al tavolo fa man bassa e riempie il suo bel piattino da portare al sicuro. Con la bocca piena ci suggerisce cosa prendere e se in quel momento eravamo distratti è lei che raggiunge il banchetto e pensa a fare le scorte per noi. Io a volte non mi avvicino nemmeno al buffet, ma vado dritta a mia madre che, accerchiata da un gruppo di fedeli signore, mi porge il panino col prosciutto dicendo: "Magna mamma, magna, è buono. Se non te lo mettevo da parte manco l'assaggiavi!". E se non mi va, poco male, lo regala al figlio dell'amica.
Perché mia madre sì che è FIGA!

venerdì 16 gennaio 2009

Segui il coniglio bianco....


Mi viene il latte alle ginocchia quando aprendo una rivista che amo, vedi Internazionale, mi imbatto in articoli no comment! Rispetto la testata, perché mi permette di leggere da casa i giornali del mondo tradotti nella mia lingua; mi piace perché è graficamente ben costruita; l'ammiro perché azzarda copertine uniche e rivoluzionarie; la compro perché da alla fotografia il ruolo che le compete: raccontare il mondo e lasciarci senza parole.
Ma confesso che l'articolo "Il miraggio della dolce vita" di Lisa Hilton pubblicato su The Spectator e ripubblicato su Internazionale n. 772 mi ha fatto venire un attacco di bile. Why?
La giornalista inglese scrive: "In Italia si vive male, la stampa è pessima, la tv è inguardabile e regna l'inefficenza".... Non ha tutti i torti, vero? Infatti all'inizio mi sono un pò vergognata del fatto che anche il mondo se ne fosse accorto. Proseguendo nella lettura mi sono accorta però di quanto fosse esasperato e acido il tono in cui la Hilton raccontava dei sui 3 anni trascorsi a Milano. Dulcis in fundo scrive: "Se volete farvi un'idea dell'Italia autentica, leggete Cristo si è fermato ad Eboli di Carlo Levi che vi racconta una cultura meridionale, brutale e primitiva tutt'ora esistente..." e aggiunge Gomorra e il libro Outlet Italia.
OKKKKKKKKKKKkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkk. Va beneeeeeeeeeeeeeeeeee. Siamo un paese che zoppica, sommerso dai casini, che fatica a torvare una soluzione all'empasse che si è venuto a creare nei SECOLI. MA A TUTTO C'è UN LIMITE. Così da buona NAZIONALISTA del cavolo mi sono INCAxxATA!
1 - Partiamo dal titolo: IL MIRAGGIO DELLA DOLCE VITA. Solo una turista ingenua può venire in Italia nel 21 secolo e pensare di vivere la Dolce Vita. E poi? La Dolce Vita?! Possibile che nessuno le abbia spiegato che era puro marketing? Che volevamo i dollari dello zio Sam? Così la Hilton scrive ai suoi lettori inglesi che venire in Italia è una delusione. Non c'è più la Lambretta per le strade e il maschio preferisce guardare alla tv il culo delle brasiliane! Poveri inglesi... Un popolo così avanti. Come faranno a reggere il colpo?!
2. Per farci un'idea dell'Italia dovremmo leggere Cristo si è fermato ad Eboli? Ma che cavolo scrive?! Che per caso si è persa sull'appennino abbruzzese ed è stata raccattata da qualche pastore?
3. Cultura meridionale, brutale e primitiva?! Non nego ci sia un'IItalia così, ma è quella malata della mafia, della violenza, dell'ignoranza. Ma non è tutta l'Italia, e soprattutto da buona terrona che sono mi girano le balle si parli del meridione così. E poi lei non ha vissuto 3 anni a Milano o mi sbaglio?!
4. Raccontare l'Italia vivendo a Milano è un atto di grossa presunzione. L'Italia non è la città meneghina. Tra Milano e il resto del paese c'è un abisso esistenziale. Milano è un brand: una bella modella gnocca, vestita di tutto punto, col capello appena fatto dal parrucchiere, che se la fa con un manager straricco e allampadato con la lopecia, è strafatta di coca e annoiata, se ne frega di ciò che accade nel resto del mondo tanto ce l'ha solo lei e ongi tanto si ricorda di dare la mancia. L'Italia è piena di sfumature, di macro e di micro realtà tanto complesse che nemmeno 100 antropologi riuscirebbero a ridarne un'immagine unitaria. E questa qua? Viene a Milano, fa un giro alle 5 terre, visita qualche città d'arte, si fa spennare dai ristoratori (che fanno bene!), s'accatta la palla con la Madunnina innevata... e azzarda a parlare di ITALIA?
L'assenza di diplomazia della giornalista mette ancora più in evidenza la rabbia di aver perso qualcosa in questo nostro stivalone... Amore, lavoro, sogni? Boh. Ma al suo posto cercherei di scrivere in maniera più obiettiva o rischia di fare "pessima stampa". Inoltre volevo chiedere ai Lord inglesi delle delucidazioni sulla GRANDE cultura BRITISH:
Sbaglio a avete ancora la regina di cuori? La reginaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa?! Si, quella che ama più di tutto cavalli e cani... quella che si ciuccia il vostro stipendio per comprarsi i cappellini... Ok, con questo sono a postobasta mi fermo qua. Grazie.
AH dimenticavo: Se volete farvi un'idea dell'Inghilterra autentica, vi consiglio di leggere Le avventure di ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE di Lewis Carroll

venerdì 9 gennaio 2009

Addio biondeeeeeeeee


Ho smesso di fumare. Si ce l'ho fatta! A dirla tutta sono 4 mesi che non accendo una sigaretta, ma solo ora sento di poter gridare al mondo che

- le dita gialle

- l'alito puzzolente

- la gola infiammata

- le pause fuori al gelo

- il "scusa hai da accendere"

- la cenere che cade sulla tastiera

- i denti gialli

- la caccia ai centesimi nelle giacche invernali per comprare un pacchetto

- il senso di colpa verso i polmoni

- la paura di invecchiare presto

sono solo un ricordo. Oggi sono libera ragazzi, e mi chiedo perché mai ho trovato nel fumo qualcosa di piacevole.

Finalmente posso:

- Sentire i profumi e (purtroppo) anche le puzze

- respirare a pieni polmoni

- pedalare senza affanno

- salire le scale a 2 a 2

- starmene al calduccio quando fuori fa freddo

- vedere un film senza aspettare con ansia il primo tempo o la pubblicità

- vedere sparpagliate per casa le monetine per il pane

- vedere il colorito sulla mia faccia

- prendere il caffe quando ne ho davvero voglia

- sporcare la tastiera con le briciole del panino


Come ho fatto? Qui la marchetta: ho letto un libro che mi ha aiutato a riflettere, a capire che a me fumare non serviva per essere felice. Il libro in questione è quello che trovate ovunque dal supermercato all'Autogrill: E' FACILE SMETTERE DI FUMARE SE SAI COME FARLO.

Provateci, vale la pena!